16.09.2024
Heart Rate Variability (HRV): il presente e il futuro del Personal Training
Come Potenziare l’Efficacia dei Programmi di Allenamento Personalizzati
Più il ritmo del cuore varia, più siamo in equilibrio, in salute e pieni di vitalità. Possiamo considerare perciò la Variabilità della Frequenza Cardiaca (HRV) come una bussola. Ci aiuta a trovare la direzione giusta, qualsiasi sia la destinazione prefissata. Nella performance, nel fitness, nel recupero funzionale, nell’estetica la HRV è lo strumento adatto a verificare/monitorare la nostra capacità di affrontare e sostenere una sfida. In qualità di Personal Trainer ISSA, possiamo utilizzare la Heart Rate Variability per creare e testare l’efficacia dei programmi personalizzati, per adattare ogni singola sessione di allenamento, esercizio o piano di intervento, al fine di ottenere risultati migliori, di accrescere la salute, il vigore e tutto quanto fa la nostra efficienza fisica.
Il presente articolo rappresenta il primo di diversi interventi, nati con l’obiettivo di fornire a quanti si occupano di programmazioni e piani di allenamento personalizzato, strumenti di valutazione e di azione innovativi, efficienti ed efficaci, supportati dalla moderna letteratura scientifica. Sono da considerare un pò come un viaggio a tappe, ognuna delle quali costituisce delle conoscenze e delle competenze, che rappresentano il presupposto per quelle successive. Nella trattazione odierna, che funge un pò da apripista, saranno fatte delle premesse che dovrebbero rendere più comprensibili le argomentazioni e le discussioni correnti e quelle a seguire.
Partirei con un’espressione del nostro Presidente Adriano Borelli: “L’essere umano è la macchina più complicata che sia stata mai progettata”. Vero, comprenderla appieno è difficile, forse impossibile. Questo, da un lato amplifica gli sforzi conoscitivi del Personal Fitness Trainer ISSA, dall’altro lo esalta, delineando il cammino per acquisire autorevolezza e competenze. É un percorso difficile, lungo e spesso impervio, ma il risultato finale ripaga ampiamente. Oltretutto, alle soddisfazioni personali ed economiche, si aggiunge la gratificazione di diffondere una cultura Fitness votata alla salute e all’efficienza fisica, al piacere di sviluppare e praticare progetti che migliorino la quantità e qualità della vita delle persone. Poi c’è lo sforzarsi ed essere ricompensati. Una espressione di merito che, come recita la pubblicità del famoso liquore italiano, “è essa stessa un piacere!”.
Sperando che la premessa abbia stimolato un pò di motivazione, entriamo nel vivo dell’esposizione provando a dare un senso al concetto di “complicato” indicato da Adriano.
Il corpo umano deve essere considerato come un complesso di sistemi integrati, non la semplice somma degli organi che lo compongono. Una sorta di network cellulare, in cui strutture e apparati differenti anatomicamente e funzionalmente, agiscono in modo armonico e sinergico. Tale organizzazione è dinamica e aperta, in continuo contatto e interscambio con il mondo esterno. Questa incessante interfaccia, comporta costanti adattamenti allo scopo di preservare o ripristinare uno stato di equilibrio chiamato Omeostasi e da cui dipende il nostro stato di salute.
Omeo-stasi è una parola composta che deriva dal greco, tradotta letteralmente come “stessa-fissità”. La doppia radice, legata alla nostra biologia, assume il significato più ampio e profondo di “mantenere una stabilità, un equilibrio interno attraverso continue variazioni e aggiustamenti di parametri vitali”. Entrano in gioco e si abbinano diversi fattori, al fine di preservare elementi essenziali alla nostra vitalità e salute (quali l’idratazione, il PH, la pressione, la glicemia, la temperatura, ecc.). Su tali elementi vengono realizzati continui interventi, al fine di mantenerli attorno a specifici valori di riferimento (set point omeostatici). Questi processi che generano dei cambiamenti con lo scopo di stabilire un equilibrio vengono definiti allostatici. La variazione-allostasi che determina la stabilità-omeostasi manifesta una fisiologia e biologia fortemente intricata, ricca di eventi interconnessi, non lineari e che sottintendono la presenza di una struttura che si occupi di interpretare, analizzare, organizzare e dirigere il tutto. Nel tentativo di descrivere questo sistema di gestione, alla fine del secolo scorso, è stato proposto in letteratura il “Neurovisceral Integration Model (NVIM)”. Tale modello prospetta come centro di regolazione omeostatica il “Central Autonomic Network” (CAN), una struttura neurologica che comprende e in cui si armonizzano diverse componenti corticali, sottocorticali e tronco-encefaliche. Sulla base di informazioni provenienti dall’interno, dall’esterno del nostro corpo e dalle emozioni, il CAN elabora, processa e quindi attua delle strategie regolative volontarie e/o involontarie. Si tratta di azioni biologiche, organiche, cognitive, comportamentali, emozionali che fanno la nostra capacità di adattamento e che definiscono la nostra condizione di benessere psico-fisico, quello che in ISSA definiamo come Efficienza Fisica.
In un articolo intitolato “The hierarchical basis of neurovisceral integration”, pubblicato nel 2017 su Neuroscience & Biobehavioral Review, Thayler, Smith, Kalsa e Lane descrivono tale rete autonomica come suddivisa in 8 livelli, tra i quali viene proposto un vero e proprio ordine gerarchico. Si parte in basso con i processi di autoregolazione intra-organo, per poi passare, risalendo, ai meccanismi che mettono assieme due o più organi e apparati. Al vertice sono posti i centri direttivi corticali e sottocorticali che consentono di ottenere strategie regolatorie complesse, integrate, flessibili e adeguate al contesto. Meglio funziona questo network, più elevate sono le capacità omeostatiche e adattative dell’uomo. L’immagine presente nell’articolo (fig.2) che manifesta tale organizzazione multilivello, mostra le tante interazioni necessarie al funzionamento del cuore. La scelta è stata dimostrativa, il modello poteva rappresentare qualsiasi altro organo (fegato, reni, intestino, ecc.), ma non casuale. Attraverso essa è possibile prendere coscienza di come la funzionalità ritmica del muscolo cardiaco, determinata dal suo sistema di auto-generazione e conduzione dell’impulso contrattile, sia continuamente modulata e adattata alle numerose e diverse necessità del corpo. Ad esempio, a livello 1, vengono incluse le variazioni che si generano nel cuore stesso. Come quelle procurate dal maggior stiramento delle fibre miocardiche (principio di Frank-Starling) o dalla presenza nei vasi coronarici di CO2 e ioni di idrogeno in eccesso (fattori umorali). I livelli 2 e 3 presentano le modificazioni indotte a livello spinale e tronco encefalico che legano l’accelerazione-decelerazione del miocardio all’ispirazione-espirazione (RSA, Aritmia Seno Respiratoria) e agli aggiustamenti che regolano la pressione (Baroreflex), che sostengono alcune delle funzioni vitali che prescindono dalla coscienza, che reagiscono alla presenza abbondante di gas e ioni in altri tessuti o apparati, e così via.
Il livello 4 coinvolge l’Ipotalamo e comporta le alterazioni adatte a sostenere la circadianità dei nostri ritmi, gli interventi ormonali, metabolici, il mantenimento della temperatura, dell’idratazione, ecc. Con i livelli da 5 a 8, si raggiungono alcune delle componenti sottocorticali (limbiche, talamiche e dei gangli della base) e i lobi corticali. Qui prendono forma tutti quegli aggiustamenti che sono necessari a supportare la parte cognitiva, le emozioni, li gesti e i comportamenti consapevoli e inconsapevoli. Vengono assistite le azioni identificate come di “attacco o fuga” e quelle volte “recupero energetico, psico-fisico e al riposo”. L’elenco e relative descrizioni non sono esaustivi. Credo però possano essere sufficienti a rappresentare i numerosi e diversi input ricevuti dal muscolo cardiaco e la loro gerarchia.Tali impulsi alterano la sua funzionalità ritmica, impostata dal Nodo Seno-Atriale (pacemaker) e dai circuiti ad esso collegati, portandola verso verso una spiccata variabilità. Questa caratteristica consente di ottenere dal miocardio prestazioni sempre adattabili e adeguate alle molteplici richieste. A riprova di ciò, nel 2014 viene accettato e pubblicato un articolo su Frontiers in Psycology dal titolo “A health heart is not a metronome: an integrative review of the heart’s anatomy and heart rate variability”. L’intestazione scelta dagli autori (Shaffer, McCraty e Zerr) non poteva essere più chiara. Un cuore in salute non è un metronomo, vale a dire che deve presentare delle differenze temporali tra una contrazione e l’altra. Tali divergenze, misurate in millisecondi, esprimono il concetto di “variabilità cardiaca” o Heart Rate Variability (HRV). L’articolo descrive l’anatomia e la neurofisiologia della HRV (fig.3), le vie di collegamento tra CAN e Heart, i processi coinvolti, i criteri di variabilità, le modalità di misurazione, gli indici utilizzabili e l’importanza per la salute globale, sottolineando l’enorme importanza e interesse scientifico. In effetti, la letteratura è copiosissima. Siamo vicini ai 30000 articoli pubblicati ad oggi, con il numero di lavori che cresce esponenzialmente di anno, in anno. Questo perché attraverso la HRV è possibile verificare non solo l’efficienza del sistema cardiovascolare ma anche del Central Autonomic Network e, quindi, delle nostre capacità di adattamento e salute.
Tale aspetto, validato da una solida letteratura scientifica, ha generato innumerevoli ambiti di utilizzo (medico, sportivo, nutrizionale, lavorativo, fitness, ricreativo, ecc.) e diversi applicativi ricavabili (valutazioni generali, specifiche, piani di intervento, sistemi di ripristino, biofeedback, ecc.). L’attenzione della scienza è elevata, gli strumenti a disposizione sempre più numerosi, affidabili e potenti, così come gli applicativi da essi ricavabili. Insomma, si tratta di un campo in cui dobbiamo maturare conoscenza e consolidare competenza. Iniziamo a varcare il confine, partendo dalle informazioni necessarie a ricavare il dato. Il gold standard per la valutazione della HRV è l’elettrocardiogramma (ECG). L’ECG misura l’attività elettrica cardiaca e, attraverso essa, consente di rappresentare graficamente le varie fasi di contrazione e rilassamento. In un tipico tracciato è possibile individuare diverse componenti tra le quali spicca il complesso QRS che identifica l’azione contrattile dei ventricoli. Il numero dei picchi R ottenuti in un minuto, costituisce la Frequenza Cardiaca o Heart Rate (HR), ovvero la velocità di contrazione del cuore. La distanza misurata in millisecondi tra un picco R e l’altro costituisce la Variabilità della Frequenza Cardiaca o Heart Rate Variability. (fig 4). In un sistema cardiovascolare efficiente e in un Central Autonomic Network che funziona perfettamente, il tempo misurato tra un picco R e quello successivo deve essere diverso. Fin qui, tutto abbastanza facile. Il dato, analizzato sotto diversi aspetti, produce diversi indici, raggruppati in 3 domini principali che rendono più complessa l’analisi:
• Dominio del Tempo, i cui indici derivano da calcoli statistico-matematici (RMSSD, SDNN, pNN50, ecc.).
• Dominio delle Frequenze. Come si intuisce dal nome, lo spettro di frequenza ottenuto dall’ECG viene suddiviso in varie porzioni e ottenute bande di frequenza alta (High Frequency – HF), bassa (Low Frequency – LF), molto bassa (Very Low Frequency – VLF) e ultra bassa (Ultra Low Frequency – ULF).
• Domini Geometrici Non Lineari che consentono di valutare qualitativamente la variabilità cardiaca, affrontandone le dinamiche caotiche e non lineari (Pointcarè Plot, Sample Entropy, Pointwise Correlation Dimension, Approximate Entropy, ecc.).
Ognuno di questi domini si differenzia per le informazioni che è possibile ricavare, per le modalità di misurazione e per la tipologia di strumentazione utilizzabile (fermo restando l’ECG come Gold Standard). Sono punti nodali per una corretta valutazione e utilizzo della HRV e che si collegano ad altri aspetti importati quali:
• Il momento della giornata in cui si valuta (al mattino appena svegli, di pomeriggio, di sera).
• La condizione che si vuole valutare (di riposo, sotto stress, recupero da uno stress, in una situazione o in un applicativo o in una pratica de-stressante).
• Se si utilizza l’HRV come Biofeedback, ovvero come monitor per verificare il reale effetto sulla nostra salute di una pratica, di una situazione, di un esercizio, di un nutriente e così via.
Nella prossimo articolo affronteremo queste argomentazioni e le utilizzeremo come guida per individuare e analizzare gli applicativi utili al nostro lavoro. Nel frattempo, potrete approfondire la materia scaricando e leggendo le pubblicazioni riportate nel presente testo (di libero accesso) o partecipando ad un workshop che con la ISSA abbiamo preparato e che sarà lanciato nei mesi a venire. Quest’ultimo, in linea con la nostra didattica, avrà il vantaggio di collegare le necessarie nozioni scientifiche ad una pratica efficace. Così da maturare quelle competenze e capacità di applicazione su campo, che danno forza e qualità al Personal Trainer ISSA.
Fig 1 “The hierarchical basis of neurovisceral integration”
Thayler, Smith, Kalsa, Lane
April 2017, Neuroscience & Biobehavioral Review
Fig. 2 “A health heart is not a metronome: an integrative review of the heart’s anatomy and heart rate variability”
Shaffer, McCraty, Zerr 2014 Review Article September 2014 open access Frontiers in Psychology
Fig. 3 da Wikipedia
Heart rate variability visualized with R-R interval changes